Nel Consiglio dei Ministri del 29 agosto è stato approvato il decreto legislativo che dà attuazione alla legge, approvata nel marzo scorso, al reddito di inclusione (ReI).
I rappresentanti delle istituzioni usano toni trionfalistici: il presidente del consiglio Gentiloni sostiene che per la prima volta l’Italia si dota di unos trumento contro la povertà, un grnde passo in avanti, dice lui, mentre il ministro del lavoro Poletti parla di uno strumento che impegna tutte le istituzioni a stare a fianco dei più poveri, “uno strumento che abbiamo costruito attraverso un rapporto di dialogo e di positiva collaborazione con le associazioni rappresentate dall’Alleanza contro la povertà”.
Guardiamo i numeri, al di là delle dichiarazioni ufficiali. E’ una goccia nel mare: le persone in povertà assoluta (cioè in condizione di incapacità di acquisire i beni e i servizi, necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile) sono 4 milioni e 600 mila, secondo i dati Istat relativi al 2015, e nel 2016 non sono certo diminuite. Il provvedimento del governo, che andrà a regime nel gennaio 2018, riguarderà solo pochi fortunati: un milione e ottocentomila persone, magari raccomandate dall’Alleanza per la povertà. La cifra impegnata è ridicola, basti pensare che per il solo servizio del debito (interessi passivi ecc.) il governo italiano paga più di ottanta miliardi l’anno, che vanno nelle tasche delle banche, dell’aristocrazia finanziaria, degli specultatori.
Per dare un’idea dell’impegno del governo e dell’importanza che dà alla lotta contro la povertà, basta pensare che il solo rigassificatore offshore di Livorno, ormeggiato da anni al largo e inattivo, è costato 900 milioni di euro, più della metà del fondo stanziato per il 2018. La sollecitudine è dimostrata dal fatto che si attende il 2018 per dare attuazione ad una legge approvata nel marzo 2017. Forse il Governo spera che qualcuno nell’attesa muoia di malattie, di freddo o di fame, così da risparmiare ancora qualcosa.
In realtà, si tratta di una vittoria politica delle organizzazioni legate alla gerarchia vaticana. L’interlocutore del governo, l’Alleanza contro la povertà in Italia, nasce da un’idea del prof. Cristiano Gori, dell’Università Cattolica di Milano, ed è promossa grazie al contributo delle Acli. Le Acli curano il coordinamento politico-organizzativo. La partecipazione all’Alleanza è aperta a tutti i soggetti sociali interessati alla lotta contro la povertà assoluta in Italia; aderiscono al momento all’alleanza Acli, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil- Cisl-Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano – ONLUS, fio.PSD, Fondazione Banco Alimentare ONLUS, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network.
Il problema non è solo del rapporto col governo: spostare la questione del reddito dal salario e dai servizi sociali all’assistenza legata al controllo sociale è una vittoria della borghesia e della interpretazione cattolica dei rapporti fra le classi sociali.
Del resto, per gli sfruttati, per i ceti popolari l’azione del governo è sempre una minaccia: i fondi per la sedicente lotta alla povertà sono stati tolti ai servizi sociali, alla scuola, alla sanità: si combatte la povertà accentuandone le sue cause: tagli all’assistenza, alla sanità, alla scuola; tagli alle pensioni e all’occupazione. Qualsiasi cosa faccia il governo, segua una politica di austerità o di investimenti, a pagare sono sempre le classi subordinate.
Il risultato di dieci anni di crisi, del peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari, degli sfruttati, dei proletari è la subordinazione all’ideologia dominante, di cui la chiesa cattolica e la sua politica interclassista sono gli interpreti. Per rompere questa subordinazione bisogna riproporre la questione del reddito a partire dai bisogni della classe operaia, dei precari, dei disoccupati. Solo se saremo in grado di mettere in piedi un movimento di massa che metta in pericolo l’ordine pubblico, il governo si deciderà a rinunciare a qualcosa destinato alle classi dominanti e destinarlo ai ceti popolari.
Tiziano Antonelli